Profumo di limone, mandorle tiepide tra le dita, lastre ambrate che si spezzano nette: la cupeta è il suono del Natale salentino, un gesto antico che passa di mano in mano nelle piazze d’inverno.
In Salento la cupeta pugliese non si annuncia: arriva. La riconosci dal colpo secco del coltello sul banco di marmo. È un dolce natalizio essenziale. Due ingredienti, tre con il profumo. Mandorle, zucchero, agrumi. La vendono alle fiere patronali e ai mercatini di dicembre. Nel dialetto dei venditori ambulanti la chiamano “cupeta” con orgoglio, come si chiamano i parenti stretti.
Il nome non è un vezzo recente. Treccani registra “cupèta” dal latino tardo “cupedia”, cioè ghiottoneria. Anche Benevento chiamava “cupeta” un tipo di torrone. Il filo è chiaro: una dolcezza asciutta, compatta, nata per durare e farsi strada tra feste e strada. Su elenchi pubblici di tradizioni alimentari è spesso citata come specialità del territorio; l’inserimento formale può variare negli aggiornamenti annuali del Ministero, quindi la verifica sul portale MASAF resta prudente.
Il cuore della cupeta non è il romanticismo. È tecnica. Chi sbaglia il caramello, perde tutto. I maestri salentini scaldano le mandorle tostate prima di unirle allo zucchero. Evitano lo shock termico. Non mescolano nervosamente. Aspettano che lo zucchero semolato raggiunga un colore miele, intorno ai 170–175 °C. A quel punto muovono, spianano, incidono. Due mezzi limoni fanno da spatole profumate: scena vera, spesso ancora visibile nelle piazze.
Ricetta tradizionale della cupeta salentina
Dosi per 6–8 lastre sottili: 500 g di mandorle pelate, 500 g di zucchero (metodo a secco), Scorza grattugiata di 1 limone non trattato, Un pizzico di cannella (facoltativo), Olio neutro per il piano o carta forno, Termometro per zucchero (consigliato).
Procedura: Tosta le mandorle in forno a 150 °C per 10–12 minuti. Tienile calde. Il calore evita la cristallizzazione. Versa lo zucchero in un tegame dal fondo spesso. Scioglilo “a secco”, senza acqua, a fiamma media. Non mescolare finché i bordi non iniziano a fondere. Muovi solo ruotando la pentola. Quando il caramello è ambrato chiaro (170–175 °C), spegni. Unisci subito le mandorle calde, la scorza di limone e, se vuoi, la cannella. Mescola con spatola resistente al calore. Rovescia il composto su marmo leggermente oliato o su carta forno. Stendi con spatola o con due mezzi limoni, come tradizione salentina. Lo spessore ideale è 6–8 mm per una croccantezza netta. Incidi a barrette quando è ancora tiepido. Lascialo raffreddare. Conserva al riparo dall’umidità fino a tre settimane.
Varianti documentate in famiglia e in letteratura locale: un cucchiaio di miele nelle dosi sopra (addolcisce e rende meno fragile), una goccia di succo di limone per stabilizzare lo zucchero, semi di sesamo per un’eco mediterranea. Non esistono dati univoci sulle percentuali “ufficiali” in tutte le botteghe: ogni casa regola il punto di caramello. La proporzione 1:1 è però la più attestata nei ricettari salentini e nei manuali di pasticceria base.
Una storia di piazze e mercati
Mia nonna pressava la cupeta con le mezze lune di limone. Diceva che il profumo “apre il cuore al freddo”. Al mercato di Capodanno, il banco scottava. Il venditore incideva linee perfette, come un tipografo. Oggi quei gesti sopravvivono. Forse è questo il fascino della cupeta salentina: un croccante di mandorle che unisce rigore e scena. E tu, come preferisci sentire quel primo “crack”: in silenzio, o nel brusio del paese che chiude l’anno?





